IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LIGURIA 
                          (Sezione Seconda) 
 
ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero  di  registro
generale 45 del 2016, proposto da: 
    Marco Vitalizi, rappresentato e difeso  dagli  avvocati  Gianluca
Motta e Giorgio Valenti, con domicilio eletto presso  Gianluca  Motta
in Genova, via XII Ottobre 2/131; 
    Nicola Melani, rappresentato e  difeso  dagli  avvocati  Gianluca
Motta e Giorgio Valenti, con domicilio eletto presso  Gianluca  Motta
in Genova, via XII Ottobre 2/131; 
    Giorgio Valenti, in proprio e rappresentato  e  difeso  dall'avv.
Gianluca Motta, con domicilio eletto presso Gianluca Motta in Genova,
via XII Ottobre 2/131; 
    Contro il Ministero della giustizia, in persona del Ministro  pro
tempore,   rappresentato   e   difeso   per   legge   dall'Avvocatura
distrettuale  di  Genova,  domiciliata  in  Genova,   viale   Brigate
Partigiane n. 2; 
    Per l'ottemperanza del decreto rep.  1693  del  17  agosto  2012,
rg.vg. 434/2012, della Corte d'appello di Genova; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di  costituzione  in  giudizio  di  Ministero  della
giustizia; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 29  settembre  2016
il dott. Roberto Pupilella e uditi per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Con decreto rep. 1693 del 17 agosto 2012, emesso nell'ambito  del
procedimento rubricato sub R.G.V.G. n. 434/2012, la  Corte  d'appello
di Genova ha riconosciuto ai signori Marco Vitalizi e  Nicola  Melani
il diritto a ricevere l'equo indennizzo per la durata eccessiva di un
processo di cui il medesimo e' stato parte, ai sensi della  legge  24
marzo 2001, n. 89 (c.d. Legge Pinto), contestualmente  liquidando  la
relativa somma, oltre alle spese legali distratte in favore dell'avv.
Giorgio Valenti, antistatario. 
    Come risulta dalla certificazione depositata,  detto  decreto  e'
passato in giudicato. 
    Notificato il titolo esecutivo in data 15 ottobre  2014,  risulta
altresi'  decorso  inutilmente  il  termine  dilatorio  di centoventi
giorni, previsto dall'art. 14 del decreto-legge 31 dicembre 1996,  n.
669 (convertito con modificazioni nella legge 31  dicembre  1996,  n.
305) quale condizione di procedibilita' delle  azioni  di  esecuzione
forzata nei confronti delle pubbliche amministrazioni. 
    Con ricorso  ex  art.  112,  comma  2,  lettera  c)  del  decreto
legislativo  2  luglio  2010,  n.  104  (giudizio  di  ottemperanza),
notificato in data 12 gennaio 2016  e  depositato  il  successivo  20
gennaio 2016, i signori Marco  Vitalizi  e  Nicola  Melani  e  l'avv.
Giorgio   Valenti   hanno   quindi   adito   l'intestato    tribunale
amministrativo regionale  per  conseguire  l'attuazione  del  decreto
della Corte d'appello di Genova. 
    I ricorrenti hanno altresi' formulato domanda  di  nomina  di  un
commissario ad  acta,  cui  affidare  il  compito  di  provvedere  in
sostituzione dell'Amministrazione intimata, in  caso  di  persistenza
dell'inadempimento. 
    Si  e'  costituita  in   giudizio   l'Amministrazione   intimata,
eccependo l'improcedibilita' del ricorso. 
    In particolare, l'Amministrazione resistente ha  evidenziato  che
il nuovo art. 5-sexies della legge n. 89/2001 (inserito dall'art.  1,
comma 777, della legge 28  dicembre  2015,  n.  208,  c.d.  Legge  di
stabilita' per il 2016),  con  decorrenza  dal  1°  gennaio  2016  ha
introdotto  a  favore  dell'Amministrazione  debitrice   un   termine
dilatorio di  sei  mesi  per  effettuare  il  pagamento  delle  somme
liquidate, termine che non  decorre  prima  che  il  creditore  abbia
provveduto ad una serie di  adempimenti  indicati  dal  comma  1  del
medesimo art. 5-sexies. 
    Inoltre, la difesa erariale ha osservato che il comma 7 dell'art.
5-sexies preclude al creditore di proporre ricorso per l'ottemperanza
del provvedimento liquidatorio, prima  che  sia  decorso  il  termine
semestrale di cui al sopra citato comma 5. 
    Alla camera di consiglio del 29 settembre 2016 la causa e'  stata
trattenuta in decisione. 
    Il collegio dubita  della  costituzionalita'  dell'art.  5-sexies
della legge n. 89/2001 (come introdotto dall'art. 1, comma 777, della
legge n. 208/2015), per contrasto con gli articoli 3, 24, commi primo
e secondo, 111 commi primo e secondo, 113 comma secondo e  117  primo
comma della Costituzione. 
1. Le disposizioni normative della cui incostituzionalita' si tratta. 
    Le disposizioni normative sospettate di incostituzionalita'  sono
i commi 1, 4, 5, 7 e 11 dell'art. 5-sexies. 
    Il comma 1 e' cosi' formulato: «Al fine di ricevere il  pagamento
delle somme liquidate a norma  della  presente  legge,  il  creditore
rilascia all'amministrazione debitrice una  dichiarazione,  ai  sensi
degli articoli 46 e  47  del  testo  unico  di  cui  al  decreto  del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445,  attestante  la
mancata riscossione di somme per il medesimo titolo,  l'esercizio  di
azioni giudiziarie per lo stesso credito, l'ammontare  degli  importi
che l'amministrazione e' ancora tenuta a corrispondere, la  modalita'
di riscossione prescelta ai sensi del comma 9 del presente  articolo,
nonche' a  trasmettere  la  documentazione  necessaria  a  norma  dei
decreti di cui al comma 3». 
    Il comma 4  prevede  che  «Nel  caso  di  mancata,  incompleta  o
irregolare trasmissione della dichiarazione o della documentazione di
cui ai commi  precedenti,  l'ordine  di  pagamento  non  puo'  essere
emesso». 
    Ai sensi del comma 5, «L'amministrazione  effettua  il  pagamento
entro sei mesi dalla data  in  cui  sono  integralmente  assolti  gli
obblighi previsti ai commi precedenti. Il termine di cui  al  periodo
precedente non inizia a decorrere in caso di  mancata,  incompleta  o
irregolare   trasmissione   della    dichiarazione    ovvero    della
documentazione di cui ai commi precedenti». 
    Il comma 7 dispone che «Prima che sia decorso il termine  di  cui
al comma 5, i creditori non possono procedere all'esecuzione forzata,
alla  notifica  dell'atto  di  precetto,  ne'  proporre  ricorso  per
l'ottemperanza del provvedimento». 
    Il comma 11 recita: «Nel processo di esecuzione forzata, anche in
corso,  non  puo'  essere  disposto   il   pagamento   di   somme   o
l'assegnazione di crediti in favore dei creditori di somme  liquidate
a norma della  presente  legge  in  caso  di  mancato,  incompleto  o
irregolare  adempimento   degli   obblighi   di   comunicazione.   La
disposizione di cui al presente comma si applica anche  al  pagamento
compiuto dal commissario ad acta». 
    Con la Legge di stabilita' per il 2016, il legislatore ha  dunque
novellato la disciplina di cui alla legge n. 89/2001, introducendo ex
novo un procedimento necessario per ottenere il pagamento delle somme
dovute   dall'Amministrazione   a   titolo    di    indennizzo    per
l'irragionevole durata di un processo. 
    Il nuovo art. 5-sexies,  nella  parte  sopra  citata,  impone  al
creditore di rilasciare una  dichiarazione  di  autocertificazione  e
sostitutiva di notorieta', attestante la non avvenuta riscossione  di
quanto dovuto (comma 1). 
    Tale dichiarazione  rappresenta  una  condizione  necessaria  per
ottenere  il  pagamento  da  parte  dell'Amministrazione   debitrice,
giacche' il comma 4 della disposizione in discussione stabilisce  che
la   mancanza,   l'incompletezza   ovvero    l'irregolarita'    della
documentazione  richiesta  precluda  all'Amministrazione  l'emissione
dell'ordine di pagamento. 
    Per  altro  verso,  viene   introdotto   un   termine   dilatorio
semestrale, decorrente dalla data in cui sono  assolti  gli  obblighi
comunicativi di cui al primo comma, entro il quale  l'Amministrazione
debitrice puo' effettuare il pagamento (comma 5) e prima del quale il
creditore non puo' procedere all'esecuzione  forzata,  alla  notifica
dell'atto  di  precetto  o  alla  proposizione  di  un  ricorso   per
l'ottemperanza del provvedimento liquidatorio (comma 7). 
    Detto termine di centottanta giorni va ad aggiungersi al  termine
di centoventi giorni gia' previsto in via generale dall'art.  14  del
decreto-legge n. 669/1996, per tutti i crediti vantati nei  confronti
di un'Amministrazione dello Stato. 
    La cumulabilita' e non alternativita' dei due termini  si  evince
chiaramente dalla lettera dell'art.  5-sexies,  comma  11,  il  quale
prevede che in caso di mancato, incompleto o  irregolare  adempimento
degli obblighi di comunicazione di cui al primo comma,  il  pagamento
non  possa  essere  disposto  neppure  nell'ambito  dei  procedimenti
esecutivi gia'  in  corso,  cioe'  quelli  per  i  quali  il  termine
contemplato  dal  predetto  art.   14   decreto-legge   n.   669/1996
(centoventi giorni dalla notifica del  titolo  esecutivo)  costituiva
gia' condizione per procedere ad esecuzione forzata. 
    Ne deriva che il  creditore  non  puo'  procedere  all'esecuzione
forzata, ne' proporre ricorso per l'ottemperanza  del  provvedimento,
prima che sia decorso un termine di dieci mesi. 
2. La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. 
    La  rilevanza  della  prospettata   questione   di   legittimita'
costituzionale discende dalla diretta applicabilita' al caso in esame
delle norme la cui costituzionalita' e' messa in  discussione  (Corte
costituzionale, ordinanze nn. 264/2015; 111/2009; 70/2009; 403/2002). 
    Difatti,  com'e'  noto,  la  rilevanza  di   una   questione   di
legittimita' costituzionale va valutata  alla  stregua  del  criterio
della pregiudizialita', in virtu' del quale la rilevanza va affermata
ogni qualvolta la causa non possa essere  definita  indipendentemente
dalla risoluzione della questione (Corte costituzionale, sentenze nn.
270/2010; 151/2009; 38/2009; 303/2007;  50/2007;  84/2006;  ordinanze
nn. 220/2010; 175/2003). 
    Nella fattispecie in  esame,  non  e'  dubitabile  l'applicazione
dell'art. 5-sexies legge n. 89/2001, atteso che  la l'art.  1,  comma
777 della legge n. 208/2015 e' entrato in  vigore  il  primo  gennaio
2016,  mentre  il  ricorso   e'   stato   notificato   e   depositato
successivamente a tale data, con la conseguente piena  sussumibilita'
della fattispecie nell'impero della nuova norma. 
    L'applicazione della norma, che  per  la  sua  chiarezza  non  si
presta  ad  interpretazioni  adeguatrici,   determinerebbe   pertanto
inevitabilmente - come eccepito dalla difesa erariale - una pronuncia
di  inammissibilita'  ovvero  di  improcedibilita'  del  ricorso  per
l'ottemperanza del  decreto  indicato  in  epigrafe,  in  quanto  non
risulta che i ricorrenti abbiano adempiuto gli obblighi  dichiarativi
di cui al comma 1. 
    Di qui la rilevanza della questione. 
3. La non manifesta infondatezza della questione di legittimita' ed i
parametri costituzionali violati. 
    La non manifesta infondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale discende dalle considerazioni che seguono. 
3.1. Violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    Il complesso normativo sopra richiamato viola in  primo  luogo  i
principi di eguaglianza e ragionevolezza sanciti  dall'art.  3  della
Costituzione. 
    L'art. 5-sexies, nella parte sopra citata, introduce  infatti  un
procedimento necessario per ottenere il pagamento delle somme  dovute
ai sensi della legge n. 89/2001, ovvero per procedere  alla  relativa
esecuzione    forzata,    irragionevolmente    ed     irrazionalmente
discriminatorio nei confronti dei creditori di tali  somme,  rispetto
al resto dei  creditori  di  somme  di  danaro  nei  confronti  della
pubblica amministrazione. 
    La  disciplina  generale  che  regola  l'esecuzione  forzata  dei
crediti vantati nei confronti dell'Amministrazione statale e'  quella
sancita dall'art. 14 del  decreto-legge  31  dicembre  1996,  n.  669
(convertito con modifiche dalla legge 31 dicembre 1996, n. 305),  che
costituisce dunque la norma da assumere a confronto nel  giudizio  di
ragionevolezza, ovvero il cosi' detto tertium comparationis. 
    Il  primo  comma  del  suddetto  art.  14  stabilisce   che   «Le
amministrazioni  dello  Stato  e  gli  enti  pubblici  non  economici
completano  le   procedure   per   l'esecuzione   dei   provvedimenti
giurisdizionali e dei lodi arbitrali  aventi  efficacia  esecutiva  e
comportanti l'obbligo di  pagamento  di  somme  di  danaro  entro  il
termine  di  centoventi  giorni  dalla   notificazione   del   titolo
esecutivo. Prima di tale termine il creditore non puo'  procedere  ad
esecuzione forzata ne' alla notifica di atto di precetto». 
    Di   regola,   dunque,   il   creditore    nei    confronti    di
un'amministrazione statale deve attendere un periodo di circa quattro
mesi, decorrenti dalla notificazione del titolo esecutivo,  prima  di
poter procedere all'esecuzione forzata del proprio credito. 
    La  ratio  di  siffatta  previsione  e'   quella   di   accordare
all'Amministrazione    debitrice,    attraverso    il    differimento
dell'esecuzione, uno spatium adimplendi per l'approntamento dei mezzi
finanziari occorrenti al pagamento dei crediti azionati, in  modo  da
contemperare l'interesse  del  singolo  alla  realizzazione  del  suo
diritto con quello, generale, ad una ordinata gestione delle  risorse
finanziarie  pubbliche  (cosi'  Corte  costituzionale,  sentenza   n.
142/1998). 
    Per le somme  di  cui  alla  legge  n.  89/2001,  invece,  l'art.
5-sexies, comma 5 introduce un ulteriore ed aggiuntivo  (vedi  supra)
termine dilatorio di sei mesi -  decorrenti  dall'assolvimento  degli
obblighi dichiarativi di chi al comma 1 della medesima disposizione -
entro  il  quale  l'Amministrazione  puo'  anche  non  effettuare  il
pagamento ed il creditore non puo' procedere ad esecuzione forzata  o
proporre ricorso per ottemperanza. 
    Ne    deriva    un    regime    normativo    e     procedimentale
ingiustificatamente favorevole all'Amministrazione debitrice di somme
ex legge n. 89/2001, la cui irragionevolezza discende, ad avviso  del
Collegio, dall'insussistenza di qualsivoglia presupposto legittimante
un regime procedimentale deteriore per il pagamento e l'esecuzione di
tali crediti, i quali -  oltretutto  -  trovano  titolo  proprio  nel
protrarsi nel tempo di un processo oltre il limite ragionevole, cioe'
in un colpevole ritardo dell'amministrazione, ritardo per cosi'  dire
gia' «certificato» dalla Corte d'appello. 
    Invero, vista la finalita' che governa il sopra  citato  art.  14
del decreto-legge n.  669/1996,  pare  che  il  procedimento  di  cui
all'art. 5-sexies  rappresenti  un  inutile  e  gravatorio  duplicato
normativo, irragionevolmente operante con  esclusivo  riferimento  ai
crediti di cui alla legge n. 89/2001. 
    Sotto  altro  e  distinto  profilo,  la   nuova   condizione   di
ammissibilita'  rappresenta  un  ulteriore  vulnus  al  principio  di
uguaglianza, nella misura in cui determina una graduazione  puramente
temporale delle ragioni creditorie, in  contrasto  con  il  principio
della par condicio creditorum di  cui  all'art.  2741,  comma  1  del
codice civile. 
3.2. Violazione degli articoli 24, primo  e  secondo  comma,  e  113,
secondo comma della Costituzione. 
    La disciplina in esame si  pone  altresi'  in  contrasto  con  il
principio  di  effettivita'  del  diritto  di  difesa  sancito  dagli
articoli 24, commi 1 e 2, e 113, comma 2, della Costituzione. 
    Com'e'  noto,  la   tutela   giurisdizionale   costituzionalmente
garantita non puo' consistere  semplicemente  nella  possibilita'  di
proporre una domanda ad un giudice. 
    L'art.  24  della  Costituzione  costituisce   la   garanzia   di
effettivita'  che  alle  singole  situazioni   sostanziali   protette
dall'ordinamento corrispondano forme  di  tutela  omogenee,  tali  da
assicurare la soddisfazione agli interessi materiali dei quali quelle
situazioni  sono  espressione  (Tribunale  amministrativo   regionale
Piemonte, ordinanza 17 dicembre 2015, n. 1747). 
    Il comma 7 dell'art. 5-sexies, nel disporre che  «Prima  che  sia
decorso il termine di  cui  al  comma  5,  i  creditori  non  possono
procedere  all'esecuzione  forzata,  alla   notifica   dell'atto   di
precetto, ne' proporre ricorso per l'ottemperanza del provvedimento»,
introduce  un   apprezzabile   ostacolo   procedurale   alla   tutela
giurisdizionale del creditore rimasto insoddisfatto. 
    La previsione di un termine  semestrale  (ulteriore  rispetto  al
quello  di  centoventi  giorni  previsto  dal  citato  art.  14   del
decreto-legge n. 669/1996) - che non decorre se  non  dalla  data  di
adempimento  degli  obblighi  comunicativi  di  cui  al  primo  comma
dell'art. 5-sexies - si traduce nell'impossibilita' per il  cittadino
di agire in via  immediata  e  diretta  per  il  soddisfacimento  del
proprio credito, pur essendo egli in possesso di un titolo  esecutivo
perfetto. 
    Al tal riguardo, giova rammentare che la Corte costituzionale  ha
avuto modo di osservare come il diritto di difesa sia  frustrato  non
soltanto allorquando le norme vigenti consentono che sia radicalmente
impedito il loro esercizio, pur formalmente riconosciuto,  «ma  anche
se e' possibile che  si  creino,  senza  la  previsione  di  adeguati
rimedi,  situazioni  tali   da   rendere   eccessivamente   difficile
l'esercizio stesso» (sentenza 8 maggio 2009, n. 142). 
    In altri termini, i precetti costituzionali dei quali si sospetta
la violazione non impongono che  il  cittadino  possa  conseguire  la
tutela giurisdizionale sempre nello stesso  modo  e  con  i  medesimi
effetti, ma impediscono che vengano imposti oneri o modalita' tali da
comprimere  l'esercizio  del  diritto  di  difesa  o  lo  svolgimento
dell'attivita' processuale (in  tal  senso,  Corte  costituzionale  6
aprile 2014, n. 98;  ordinanza  n.  386/2004;  sentenza  n.  99/2000;
sentenza n. 472/1999; sentenza n. 63/1977). 
    Ed  invero,  se  da  un  lato  la  giurisprudenza  costituzionale
riconosce   un'ampia   discrezionalita'   del    legislatore    nella
conformazione degli istituti processuali (tra le ultime, sentenze  n.
23/2015, n. 243 e n. 157/2014), dall'altro «resta naturalmente  fermo
il limite della manifesta irragionevolezza della disciplina,  che  si
ravvisa,   con   riferimento   specifico   al   parametro    evocato,
ogniqualvolta emerga un'ingiustificabile compressione del diritto  di
agire (sentenza n. 335 del  2004)»  (Corte  costituzionale,  3  marzo
2016, n. 44). 
    La previsione di un ulteriore termine - oltretutto piu' lungo  di
quello che il legislatore ha ritenuto congruo  per  il  pagamento  di
tutti gli altri debiti della pubblica amministrazione -  pare  dunque
essere una scelta ingiustificata  anche  rispetto  alle  esigenze  di
effettivita' della tutela creditoria del cittadino. 
3.3. Violazione degli articoli 111, commi 1 e  2,  e  117,  comma  1,
della Costituzione per  il  tramite  degli  articoli  6  e  13  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali e 47 della Carta dei diritti UE. 
    Sotto  altro  profilo,  l'art.  5-sexies,  nella  parte  la   cui
costituzionalita' e' messa in discussione, appare in contrasto con il
principio del giusto processo  sancito,  nell'ordinamento  europeo  e
nazionale: 
        a) dall'art. 47 della Carta dei diritti UE,  secondo  cui  ad
ogni individuo, i cui diritti e le cui liberta' garantiti dal diritto
dell'Unione  siano  stati  violati,  spetta  un  «ricorso  effettivo»
dinanzi ad un giudice e che la causa sia esaminata «entro un  termine
ragionevole»; 
        b) dagli articoli  6  e  13  della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo, secondo cui «Ogni persona ha diritto a che la  sua
causa sia esaminata [...] entro  un  termine  ragionevole»  e  ad  un
«ricorso effettivo» dinanzi ad una magistratura nazionale; 
        c) dall'art. 111, primo comma della Costituzione, secondo cui
la giurisdizione si attua  mediante  il  «giusto  processo»  regolato
dalla legge. 
    Occorre   preliminarmente   osservare   che   la   giurisprudenza
costituzionale e' da tempo costante nel ritenere che le  norme  della
CEDU - nel  significato  loro  attribuito  dalla  Corte  europea  dei
diritti  dell'uomo,  specificamente  istituita  per   dare   a   esse
interpretazione  e  applicazione  (art.  32,   paragrafo   1,   della
Convenzione) - integrino,  quali  «norme  interposte»,  il  parametro
costituzionale espresso dall'art. 117, comma 1,  della  Costituzione,
nella parte in cui stabilisce l'obbligo per la  legislazione  interna
di rispettare i vincoli derivanti dagli obblighi internazionali (cfr.
Corte costituzionale sentenze 4 dicembre 2009, n.  317;  26  novembre
2009, n. 311; 27 febbraio 2008, n. 39; 24 ottobre  2007,  nn.  348  e
349). 
    In caso di ipotizzato contrasto fra una norma interna e una norma
della  CEDU,  il  giudice  comune  deve   verificare   anzitutto   la
praticabilita' di una interpretazione della prima in  senso  conforme
alla Convenzione e, ove tale verifica dia esito negativo,  egli  deve
denunciare la  rilevata  incompatibilita',  proponendo  questione  di
legittimita' costituzionale in riferimento al suindicato parametro. 
    Orbene, l'ormai consolidata interpretazione dell'art. 6, par.  1,
della CEDU fatta propria dalla Corte di  Strasburgo,  si  concretizza
nel principio per cui il tempo occorrente per conseguire l'esecuzione
di una decisione  di  condanna  al  pagamento  di  un  indennizzo  da
eccessiva durata del processo, specie se  costringe  l'interessato  a
proporre un'azione esecutiva,  fa  parte  a  tutti  gli  effetti  del
processo stesso, e quindi va computato ai fini del rispetto da  parte
dello  Stato  del  diritto  fondamentale  alla   durata   ragionevole
dell'iter processuale (Consiglio di Stato, 17 febbraio 2014, n. 754). 
    Per quanto concerne invece l'art. 47 della Carta dei diritti  UE,
secondo  la   giurisprudenza   comunitaria,   esso   costituisce   la
riaffermazione del principio  di  tutela  giurisdizionale  effettiva,
nonche' un principio generale  del  diritto  dell'Unione  che  deriva
dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri,  e  che  e'
stato poi sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
(cfr.,  ex  multis:  Corte Giust.  UE,  sentenza  28  febbraio  2013,
C-334/12, Reexamen). 
    Cio' premesso, dai convergenti principi  del  diritto  europeo  e
della Costituzione italiana discende la necessita'  che  il  processo
amministrativo debba assicurare, da un punto di  vista  funzionale  e
sostanziale,  una  tutela  piena  ed  effettiva  dei  ricorrenti  nei
confronti della pubblica amministrazione. 
    Invero, il processo puo' dirsi giusto se offre  una  garanzia  di
efficienti forme di  tutela  della  situazione  giuridica  soggettiva
dedotta in giudizio dai ricorrenti. 
    Cosi',  in  osservanza  del  principio  di   cooperazione   leale
stabilito dall'art. 4 del Trattato sul funzionamento dell'Unione,  le
modalita' procedurali dei ricorsi  non  devono  rendere  praticamente
impossibile od anche solo eccessivamente  difficile  l'esercizio  dei
diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione. 
    Per quel  che  maggiormente  rileva  nel  presente  giudizio,  la
giurisprudenza  comunitaria  ha   evidenziato   che   l'esigenza   di
effettivita' attiene alla definizione delle modalita' procedurali che
reggono le azioni giudiziarie (cfr.  Corte  Giust.  UE,  sentenza  18
marzo 2010, C-317/08, Alassini; sent. 27  giugno  2013,  C-93/12,  ET
Agrokonsulting). 
    Alla luce di tali considerazioni generali, il  Collegio  sospetta
che l'art. 5-sexies della  legge  n.  89/2001,  nella  parte  in  cui
preclude  al  creditore  che  non  abbia  adempiuto   agli   obblighi
dichiarativi di cui al primo comma  della  medesima  disposizione  di
agire in via esecutiva per ottenere il  soddisfacimento  del  proprio
credito ovvero di proporre ricorso  per  l'ottemperanza  del  decreto
liquidatorio, si ponga in  contrasto  con  il  principio  del  giusto
processo sancito dall'art.  111,  primo  comma,  della  Costituzione,
nonche'  (per  il  tramite  dell'art.   117,   primo   comma,   della
Costituzione) con il diritto ad un processo di ragionevole  durata  e
ad un ricorso effettivo sancito dall'art. 47 della Carta dei  diritti
UE e dagli articoli 6 e 13  della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo. 
    La previsione di una condizione di proponibilita' del ricorso per
ottemperanza configura, infatti, un ingiustificato privilegio per  la
pubblica amministrazione inadempiente che si traduce, sul piano della
tutela  giurisdizionale,  in  una   rilevante   discriminazione   tra
situazioni soggettive sostanzialmente analoghe ed in un  apprezzabile
ostacolo  processuale  per  il  soddisfacimento   del   credito   del
cittadino. 
4. Conclusioni. 
    Il Collegio, per le ragioni sopra esposte,  ritiene  rilevante  e
non  manifestamente  infondata  la  questione  di   costituzionalita'
dell'art. 5-sexies, commi 1, 4, 5, 7 e 11, della  legge  n.  89/2001,
come modificata dalla legge n. 208/2015, per violazione: 
        - dell'art. 3 della Costituzione; 
        - degli articoli 24, primo  e  secondo  comma;  113,  secondo
comma; 117, primo comma, della Costituzione; 
        - dell'art. 111, primo e secondo comma, della Costituzione. 
    Resta sospesa ogni decisione sul ricorso in epigrafe, dovendo  la
questione essere demandata al giudizio della Corte costituzionale.